Alle Tre Cime di Lavaredo… e ritorno.

“Cantami o diva…” , iniziava così ogni buon poema epico dell’antichità, e così dovrebbe cominciare anche questa storia, che vi narrerà le epiche gesta dei dieci ragazzi che hanno partecipato al trekking in Dolomiti tra il 4 ed il 7 luglio.

 

Giorno uno.

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Nel tardo pomeriggio del tre luglio partimmo, allegri e spensierati, dal lago di Misurina. Prima tappa: il rifugio Fonda-Savio, sotto l’ombra dei massicci del gruppo dei Cadini di Misurina. Dopo una prima parte della camminata su strada, raggiungemmo il sentiero ed iniziammo ad inerpicarci sui pendii. Lentamente, al fitto bosco si sostituirono le basse conifere. Poi, neanche gli sporadici pini mughi accompagnavano il nostro incedere. Infine, ai sassi, alle rocce e alla ghiaia si avvicendò la neve. Avete capito bene! La neve! Fattostà che, dopo due ore abbondanti di camminata, con gli zaini che pesavano sulle spalle, qualcuno che faceva un po’ di fatica, non ancora abituato al rapido passaggio dal divano al sentiero, arrivammo al rifugio.

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Che spettacolo! Stretto tra le rocce del gruppo dei Cadini e la massiccia torre Wundt, il rifugio appare quasi fiabesco! E, ai nostri eroi stanchi e felici, forse appare più fiabesca ancora la cena, che viene subito servita alle sei dai gentilissimi gestori del rifugio. Dopo una serata a base di giochi e canzoni per alcuni, di documentari fatti con la macchina fotografica per altri, è l’ora del coprifuoco. Tutti a dormire. Poco. E male. Riferiranno i ragazzi: “Massimo russa!” Al che Massimo: “Facevate un tal casino…”

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Giorno due.

Sveglia presto, ragazzi, oggi si deve fare il trasferimento dal Fonda-Savio al Locatelli. Tuttavia, il Bonacossa è impraticabile: la neve e l’esposizione lo rendono troppo pericoloso. Quindi tocca tornare fino ai laghi, giù in fondovalle, per poi risalire verso il rifugio Auronzo. Di lì poi si prenderà il sentiero che costeggia le Tre Cime di Lavaredo per raggiungere il rif. Locatelli. Tempo stimato: troppo.

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I ragazzi partirono di buon umore: iniziare una camminata con una discesa non è da tutti i giorni. Poi, in quel percorso verso valle, si possono ammirare di nuovo i massicci montuosi trascurati il giorno prima per la fatica. Troppo presto però la discesa finì, ed iniziò la salita. Un sentiero aspro, a tratti vicino alla strada che porta al rifugio Auronzo corriere di turisti in tacchi alti, ombrelli parasole, giacca e cravatta, doppiopetto. Gli eroi arrancarono, sbuffarono, sudarono. Tuttavia, complici due soste provvidenziali per ritemprare le forze, si arrivò infine all’Auronzo. “Sosta!”, gridò Nicola. “Pranzo!”, fecero eco gli altri. “Fortini della prima guerra mondiale!”, esclamò invece Marco, che non aveva ancora addentato il panino e già pensava di esplorarli.

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Dopo il pranzo all’ombra delle Tre Cime, era tempo di rimettersi in marcia verso il Locatelli. Il tempo, quello atmosferico, non era tuttavia d’accordo. Neanche tempo di camminare un quarto d’ora che subito iniziò a gocciolare. Accelerare il passo, ragazzi, o qui si prende il diluvio universale! Noè non servì per ancora un’oretta, ma quando giungemmo alla sella, dove potevamo ammirare le tre cime e, laggiù, nascosta dietro gli ultimi denti rocciosi del Monte Paterno, la nostra meta, si aprirono le cateratte del cielo. L’ultima ora di camminata quindi fu a dir poco umida, ma quando arrivammo al rifugio la pioggia cessò e spuntò persino un raggio di sole, che illuminò le Tre Cime in tutta la loro bellezza. “Che fatica!”, dissero alcuni degli eroi, “Ma ne è valsa la pena, per arrivare fin qui!” Avevano camminato per sette ore e svariate centinaia di metri di dislivello.

Giorno tre.

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Dopo la colazione, partimmo in colonna, zaini alleggeriti dai sacchi a pelo, lasciati in rifugio, verso la meta di oggi: il rifugio Pian di Cengia. Costeggiammo tutto il gruppo del Monte Paterno su di un sentiero in ghiaione, che attraversava anche qualche nevaio, per poi risalire verso la Sella. Da lì, sulle vecchie mulattiere di guerra, proseguimmo poi per il rifugio, meta ultima del giorno.

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Camminata più facile di quella del giorno precedente, non era per questo meno impegnativa: la presenza di parecchi nevai, con l’annessa possibilità di trovare un ragazzo a valle in men che non si dica, richiedeva attenzione. Tuttavia, la mente sveglia dalla buona notte di riposo, i ragazzi procedettero attenti e giungemmo in poco tempo alla sella dei Piani di Cengia, da cui si poteva ammirare un panorama mozzafiato: dal sasso dei Finanzieri fino al sasso di Sesto, con la torre di Toblin che si stagliava sull’orizzonte e, dall’altra parte della sella, il gruppo del sasso dei piani di Cengia, maestoso. Per non parlare poi del Monte Paterno, che ci aveva accompagnato per tutta la camminata, regalandoci anche la sorpresa di un raro esempio di tulipano retico.

Giunti al rifugio, festeggiammo con un lauto pranzo la bella giornata, per poi ritornare, lemmi lemmi, verso il rifugio Locatelli. Dopo una serata di giochi e la cena, arrivò il tempo delle fiabe delle Dolomiti e del riposo: il giorno dopo si doveva ritornare a casa.

Giorno quattro.

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Dopo un’abbondante colazione, partimmo per il sentiero che costeggia le Tre Cime sul lato alto-atesino. La salita bloccò per un attimo i nostri eroi, che tuttavia, raccogliendo le forze, riuscirono ad inerpicarsi su per il pendio, per raggiungere i falsi piani. Di lì prendemmo il sentiero che costeggiava Cima Ovest, tra massicci rocciosi di rara bellezza.

Dopo la sella ed una breve sosta, discendemmo i prati erbosi verso la strada; un fuori programma ci costrinse a procedere in un sentiero poco frequentato tra macchie di pini mughi, poi giungemmo alla strada e di lì, in tre quarti d’ora, alle macchine.

Era finita l’avventura.

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